Piccolo formato, libri piccoli, minuscoli, microscopici, oppure “miniature books”? Una questione (bibliografica) aperta

Massimo Gatta, bibliotecario all’Università del Molise e storico dell’editoria, introduce l’Aldus Club al meraviglioso e poco conosciuto mondo dei libri in miniatura.

I “libri di piccolo formato” o, seguendo il canone anglosassone universalmente codificato, i “libri in miniatura” (miniature books) sono uno dei vari e complessi ambiti della storia del libro. Per definirsi tale, seguendo la convenzione internazionale, non devono superare in altezza e in larghezza i 76,2 millimetri (3 pollici), anche se sono ammesse deroghe. Aspetto fondamentale è però l’esecuzione equilibrata tra stampa tipografica (caratteri, spaziatura, specchio di pagina), legatura e uso di materiali, che devono essere in armonia tra loro. I miniature books possono vantare una lunga tradizione che risale a oltre il 2000 a.C. con una tavoletta in argilla in caratteri sumerici di cm 3,33 x 4,12; databile a prima della rivoluzione gutenberghiana dei caratteri mobili è invece un manoscritto italiano dell’Eneide di Virgilio su rotolo di pergamena, di 6 cm per oltre due metri di lunghezza, databile ai primi del ’400. Quindi si può simpaticamente sfatare il fatto che sia stato Aldo, coi suoi enchiridion, a “inventare” il formato tascabile, quello che nel Novecento sarebbe diventato, con Vanni Scheiwiller, il formato “taschinabile” di alcune sue Collane. I generi legati ai miniature books spaziano dalla religione alla letteratura, ma nei secoli sarebbero stati utilizzati anche per la letteratura erotica, storia, medicina, scienza, botanica, filosofia, topografia, viaggi e arte. Importante sottolineare che i miniature books devono, o dovrebbero, essere esonerati da un loro uso folcloristico, e studiati invece attentamente come prodotti complessi e raffinati di una certa editoria, spesso clandestina o privata. Il rischio, in questi casi, è quello di trattare questi argomenti come fenomeni da baraccone (i libri più piccoli, i libri giganteschi, i libri più pesanti), in una sorta di inutile e sterile guinness dei primati. I libri in miniatura hanno una loro precisa e storica dignità bibliologica e bibliografica che va indagata e studiata. Non sono solo oggetti da collezione o peggio gadget da regalare ai compleanni.

Massimo Gatta (Napoli, 1959) è bibliotecario presso l’Università del Molise. Da molti anni si occupa di bibliografia e di storia dell’editoria, con particolare riguardo alle edizioni del ’900. Ma i suoi interessi e pubblicazioni spaziano dalla tipografia del ’900, all’ex libris, dalla libreria a vari aspetti del paratesto, dai segnalibri alla bibliofilia. Collabora a svariate riviste di settore, tra le quali da oltre vent’anni Charta; è direttore editoriale, insieme a Oliviero Diliberto, della casa editrice Biblohaus di Macerata. Molte le mostre bibliografiche organizzate e oltre 500 le sue pubblicazioni, tra saggi e articoli. Tra le ultime pubblicazioni: Breve storia del segnalibro (Graphe.it, 2021), anche in edizione spagnola (Fòrcola, 2021), Sul disordine dei libri (Graphe.it, 2021), anche in edizione spagnola (Fòrcola, 2021), I colophon di Franco Riva (Biblohaus, 2021).


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